What’s the story? Incontri Sonori: Lorenzo Vizzini

Condividi su

Vizzini nasce nel ’93 nella meridionalissima Ragusa. Da piccolo inizia a calcare i primi palchi, in versione comico-teatrale, facendo da spalla al presentatore per eccellenza, Mike Bongiorno, in “Bravo Bravissimo” format che tutti i millennials hanno visto almeno una volta nella vita. Il cambio di rotta, superata l’infanzia è stato inevitabile. Chitarra e pianoforte lo rapiscono e gli chiariscono le idee sul futuro. Raggiunta la maggiore età, il grande salto: Milano, la sua città adottiva, gli offre un’opportunità dietro l’altra. Vincitore del Premio Siae per giovani autori under 30, consolida la sua carriera di autore, cantautore e produttore. Firma importantissime collaborazioni con icone della musica italiana, come Ornella Vanoni, Renato Zero e Laura Pausini; calca l’Ariston da autore di due brani in gara al Festival di Sanremo 2019, quello di Arisa (Mi sento bene) e Anna Tatangelo (Le nostre anime di notte). Oggi, milanese d’adozione, dice di non ricordarsi “+Niente” dei tempi siciliani, ma non è credibile neanche a se stesso mentre lo canta. L’anima nostalgica di Vizzini è il comune denominatore dei suoi lavori. Oggi, all’attivo tre dischi, di cui l’ultimo, Suxmario uscito da poche settimane. Un flashback nel vero senso della parola: sonorità di un’altra decade e pezzi composti nel 2016. Uno sguardo al passato, al Vizzini tardoadolescente, cui Lorenzo guarda con distacco e tenerezza.

Cantautore, per te e per altri. In quale veste ti senti più a tuo agio?

In tutte e due. Sicuramente scrivere per altri è il lavoro al quale dedico più tempo, mi piace un sacco perché mi permette di sperimentare tanti linguaggi diversi e di uscire fuori da me, per calarmi nei panni di un altro. Allo stesso tempo quello che scrivo per me è il mio bellissimo spazio di anarchia, un po’ come fosse il retrobottega, dove posso permettermi qualsiasi cosa.

SuXmario, il tuo terzo album, è uscito poche settimane fa. La composizione della maggior parte dei pezzi risale al 2016. Com’è riascoltare e riproporre una parte di sé del passato?

Bellissimo e alienante allo stesso tempo. In questo disco volevo raccontare quel passaggio fra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta, è stato forte cantarlo quando ormai quel passaggio era già un ricordo. E’ bello perché tante cose le rivivi con distacco, le storie d’amore che cinque anni prima ti riempivano la testa, diventano episodi simpatici che ripensi con leggerezza. E poi il mio sogno da bambino era quello di avere una macchina del tempo: in qualche modo è stato come fare un giro sopra la DeLorean.

Una cover che evoca il vecchio totocalcio, sonorità 80s ed un titolo che riporta ai primi tempi della Nintendo. Quanto c’è di nostalgico in Vizzini?

Tantissimo. Vivo proiettato al futuro solamente perché non si può tornare indietro. A proposito della macchina del tempo, già quando ero bambino il mio sogno era averla solamente per fare un salto negli anni 60 o 70. Il futuro mi entusiasma, però non mi affascina, mi sembra una copia rimodellata di qualcosa che è già successo.

Qual è la canzone di SuXmario a cui sei più legato?

Probabilmente Zeman, solo perché sono legato di più a Zeman. In realtà voglio bene a tutte quante, ognuna per un motivo diverso. Non te li elenco solo perché non voglio annoiarti.

Nel tuo ultimo album, così come ne L’aria di casa, si sente il Paradiso dei vecchi tempi, quello più intimo, raccontato in Fuoricampo e Completamente Sold Out. A quali artisti ti senti più affine musicalmente parlando?

Mi fa piacere, probabilmente Paradiso, soprattutto quello di Fuoricampo, l’ho ascoltato e amato molto. In realtà non sento di essere affine a qualcuno, anche perché mi innamoro di tantissimi artisti diversi. Quelle che sono le mie stelle polari, che ascolto da quando ero neonato e non mi stanco di ascoltare sono Lucio Dalla, Lucio Battisti e Pino Daniele, poi magari De Gregori è stato quello che mi ha convinto che volevo fare questo nella vita quando l’ho ascoltato per la prima volta da bambino. Ma il debito nei confronti di tantissimi artisti è infinito. Non esistono confini, davvero, da Bowie ai Ramones, da Pino D’Angiò ai Pink Floyd, ho infiniti punti di riferimento e continuo ad averne. Quello che spero è di poter sperimentare il più possibile nel mio piccolo tutte quelle che sono le mie passioni musicali, senza una sola scena di riferimento specifica.

Hai scritto per icone della musica italiana, Ornella Vanoni e Renato Zero su tutti. Come è stato lavorare per e con loro?

Meraviglioso. Con loro due è stata un’esperienza gigante, anche dal punto di vista umano. Ho avuto la grande fortuna di sentirli vicini nella mia vita di tutti i giorni e di condividere tanti momenti di quotidianità che fino ad oggi custodisco felicemente. Non me lo sarei mai immaginato, ma sono molto grato a entrambi per l’affetto che mi hanno dimostrato tante volte.

Scrivere per altri comporta una versatilità compositiva non indifferente. Come gestisci il processo creativo di una canzone che verrà poi interpretata da donne come è successo in passato? (Mi vengono in mente la Pausini e Arisa)

È molto bello, ogni volta ti cali in una sensibilità diversa. Io credo che, al di là del sesso, ogni persona viva le emozioni e le esperienze in una maniera singolare, quindi tutte le volte bisogna rimodellarsi e considerare l’umanità di chi sta cantando. Mi sento soddisfatto non tanto quando viene riconosciuta la mia penna, quanto al contrario quando la scrittura sappia mimetizzarsi, abitando la pelle dell’artista.

Milano, la tua città d’adozione è un tema ricorrente in SuXmario. Nel tuo secondo album, però, compare un brano interamente in dialetto, Bedda. Che legame hai con la tua terra d’origine?

Fortissimo. Ho provato a tornarci più volte, ma per moltissimi motivi mi è venuto impossibile rimanerci. Penso siano due parti fondamentali della mia vita. Anche se ormai da tanto tempo la mia casa è Milano, la mia mente torna spesso a Ragusa. Adesso manco da più di due anni, spero sarà possibile tornarci presto. E in generale mi piacerebbe prima o poi registrare un disco nel mio dialetto, è una lingua musicalmente viva e mi piacerebbe molto omaggiarla, nel mio piccolo.

Se dovessi descriverti con un verso di una tua canzone, quale sceglieresti?

Amo il piacere in tutte le sue forme, il desiderio prima che si perde, lo dicevo in una canzone de “L’aria di casa”, “Don Giovanni”. Questo è quello che mi fa risvegliare ogni mattina con la voglia di scrivere una nuova canzone più bella del giorno prima.

 

 

 

 


Condividi su