Epica classica: siamo tutti figli di Troia

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Fonte foto copertina: www.lastampa.it

 

Come probabilmente avrò già rivangato nelle pasticche letterarie precedenti, l’ospitalità era, ai tempi di Giove, roba seria. Pensate che ad un certo punto, nell’Iliade, Glauco e Diomede, avendo scoperto un reciproco legame di ospitalità, furono moralmente costretti a niente popo’ di meno di posare le armi e di rinunziare allo scontro. Mehercule, a volte ho la sensazione che l’abbiano fatto più perché non se ne tenevano di pugnare che per altre obbligazioni, ma togliendo pure quel minimo di romanticismo nell’epica classica non ci resterebbe che adoperare i relativi testi come ferma porta, quindi famose i fattacci nostri.

 

Dicevamo, l’ospitalità era un discorso serio. Niente a che vedere coi Welcome to refugees e ideologie bislacche varie: scorgo lo straniero, faccio a cazzotti col mio vicino per accoglierlo a casa mia in stile Totò, un turco napoletano (“alloggio, vitto, lavatura, imbiancatura, e stiratura?”), lo sfamo, lo faccio lavare – anzi, dapprima gli faccio fare la doccia e poi lo faccio accomodare a tavola, metti ‘n’indigestione… -, e solo allora posso domandargli il nome. A quel punto sarebbe educata la sua risposta, facendo nascere così tra i miei discendenti e i suoi un futuro quanto eterno vincolo di fratellanza.

 

Capita però talvolta che gli ospitati non siano sempre benintenzionati, e che la colpa non sia manco la loro. Ma procediamo per gradi.

 

Achille pesta Ettore; Priamo ottiene il corpo del figlio grazie a Hermes (uh, ‘sto magazine si chiama come il dio che guidò il re di Troia nella tenda del Pelide Achille) che gli indica il percorso giusto a mo’ di tom-tom; celebrazione funerali Ettore. In verità, prima della distruzione di Troia e tutte le vicende correlate, ci fu un precedente tra tal Enea e Achille: quest’ultimo durante una tregue fittizia tra greci e troiani, per divertirsi, separa il povero Enea che faceva il pecoraro – beh, oddio, all’epoca non c’erano molti manager – dalla sua mandria di buoi, inseguendoli. Enea riesce a sfuggirgli, state tranquilli.

 

Enea scampa e scappa dall’incendio di Troia. Che poi era figlio di Anchise e di Afrodite, la dèa delle fossette di Venere insomma. A ‘na certa, peregrina qua, peregrina là, una furiosa tempesta lo spinge a Cartagine, sede della corte della splendida regina Didone. Figuratevi se quel mattacchione di Enea non ne approfitti: Didone ci sta, lui ci sta. Insomma, si fa quel che si fa. Ovvero tra i due nasce una storiella d’amore. Enea non farà una beata ceppa per molto tempo così Giove gli invia Mercurio il quale, tra ‘na tirata d’orecchie e ‘n’altra, lo induce a riprendere il suo cammino verso le coste italiche. Didone lo maledice e muore di infarto, o d’amore, dimostrando la veridicità del celiniano “È più facile sopravvivere alla vita che all’amore”.

 

Per farla breve, da Cartagine arriva prima in Sicilia, poi in Campania, e poi nel Lazio. A Cuma, come se non tenesse niente da fare, scende nell’Ade e grazie alla buon’anima del padre Anchise scoprirà il suo destino ovvero creare Roma. Che poi già lo sapeva visto che tra presagi e robe varie glielo dissero a Troia ma dopo tanto tempo a dilettarsi con Didone s’era scordato.

 

Arriva per Gaeta. Dibattuta è ancora la questione archeologica. Da Gaeta a Montalto di Castro, ogni località è ammissibile. Piccola parentesi: ma se è mitologia, perché se ne occupano gli archeologi? Sta a vede’ che tanto mithos non era… Comunque, sbarcati suppergiù nell’Etruria, o nelle terre della Lazio, conoscere Latino. Simpatia reciproca, e gli affibbia Lavinia. Lavinia però era stata promessa come sposa a Turno, re dei Rutuli, il quale, a buon diritto, decide di pestare Enea.

 

Battaglia oggi, battaglia domani, e dopodomani arriva Evandro, direttamente dal Peloponneso, ad aiutare Enea. Certo, avete ragione: la teoria della volontarietà della sua traversata non regge, non avendo grossi modi per comunicare, ma non fasciamoci la testa. Battaglie finali, grandi eroismi a destra e a manca, Enea e Turno combattono stile Achille e Ettore. Con la differenza che, stavolta, i troiani si portano a casa il risultato: territorio e Lavinia, e il match finisce qui. Da Enea nascerà Ascanio, fondatore di Albalonga, che annovera tra i suoi discendenti Romolo e Remolo, noti ai meno solo come Romolo e Remo, senza desinenze berlusconiane.

 

E ovviamente, a che Gens appartenevano? Alla Giulia, ovvero a quella dell’autore dell’Eneide, Publio Virgilio Marone. Coincidenze autocelebrative.

 

Insomma, se Enea non fosse stato accolto da Latino e non avesse fornicato pure con la figlia prima di esser passato tra le grazie della tunisina Didone, noi non staremmo qui a parlare.

 

Quindi le radici di Roma sono le origini di Romolo e Remo, che affondano a loro volta in quelle di Enea. Insomma, siamo tutti un po’ figli di Troia.


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