“Il volo del canarino”: l’ultimo romanzo di Franco Casadidio

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Fonti foto: recensionilibri.org e Giulianova.it

 

Italiano e amante della storia tedesca contemporanea, Franco Casadidio è l’autore de Il volo del canarino e di altre opere che non sono passate inosservate. Impiegato di professione, riesce a ritagliarsi il giusto tempo per dedicarsi alla sua passione: la scrittura. 

 

Il romanzo

 

L’11 novembre 1918 i soldati tedeschi avanzano in ritirata verso casa tra fango, sangue e sgomento. In silenzio marciano tra le strade di un paese che non riconoscono più, vengono osservati come dei fantasmi dalla gente che si accalca sui sentieri al loro greve passaggio. Sul campo non sono stati ancora sconfitti, ma formalmente lo sono: da un’altra parte dell’Europa, su un vagone appositamente allestito nella foresta di Compiègne, i plenipotenziari tedeschi stipulano l’accordo di resa, nel quale gli alleati impongono alla Germania condizioni terribili, che vanno al di là di ogni tolleranza e che presto metteranno in ginocchio il paese.  Il popolo tedesco è ferito, ha sete di vendetta, e al suo interno si radicano idee pericolose che daranno origine a un mostro che si nasconderà dietro a un simbolo di rivincita e di epurazione dei nemici della patria. Tale contesto di crisi sociale, politica, istituzionale ed economica sarà terreno fertile per la nascita di realtà estremiste e l’ascesa al potere del partito nazionalsocialista fondato da Hitler.

 

Al centro di queste vicende si sviluppa la storia di Jürgen e Sara, due bambini della Baviera che cresceranno insieme, nel corso del tempo nutrendo l’uno per l’altra un sentimento palpabile e sempre più consapevole. Tuttavia il loro affetto è destinato a subire le conseguenze degli eventi storici che presto segneranno l’umanità. Il ragazzo, un giovane rampollo dell’aristocrazia tedesca, ormai è un adulto e, insieme a tanti altri tedeschi, è pregno di rabbia e desiderio di rivalsa contro tutti coloro che hanno portato la Germania alla rovina. Decide così di servire il suo paese, ma lo farà arruolandosi nelle SS, ammaliato dai sogni di riconquista garantiti da Hitler. Sara è ebrea e sarà una delle tante vittime della follia nazista, venendo dapprima ostracizzata e poi perseguita dalle leggi razziali e antisemite.

 

Divisi da convinzioni interiori e dalla crudeltà di un potere malato, i due protagonisti troveranno il modo di ritrovarsi nel perdono e nel coraggio, nella capacità del cambiamento e nel dolore.

 

Il libro, pubblicato da Morphema Editrice, rasenta uno stile semplice e piacevole, e la drammaticità dei fatti viene narrata mediante una scelta consapevole delle parole, che trasmettono al lettore un sentimento di apprensione. Forse è questo l’obiettivo cui dovrebbe sempre tendere un romanzo storico, ed è quello che ottiene questo libro. Apprezzabili sono anche le informazioni storiche che vengono sapientemente fornite e, alla stregua di un libro di storia, o forsanche meglio, spiegano le cause che hanno condotto alla creazione di un vero mostro: le condizioni eccessivamente squilibrate dettate dai trattati di pace e il timore per la nascita di un fenomeno inquietante che in Russia aveva già condotto a un tragico epilogo: il Comunismo. Nessuna diseguaglianza può giustificare un genocidio, ma a volte bisogna anche trovare un equilibrio, e assegnare in modo equanime le colpe a ogni parte.

 

Agli eventi storici il lettore si avvicina da un punto di vista inedito: non leggendo semplicemente la cronaca di vicende ufficiali narrate dai mass media, bensì attraverso le parole di un narratore che è certamente onnisciente, ma è anche immerso nella vita quotidiana dei protagonisti, cammina per quelle strade, visita i posti entrando dalla porta principale come uno qualunque dei personaggi. Si capiscono le ragioni e i retroscena delle azioni compiute, facendo intendere che ogni grande evento – tragico o fausto che fosse – derivava da azioni che partivano dal basso, dalle decisioni di uomini comuni.

 

Le parole dell’autore

 

Salve Dottor Casadidio, la ringrazio di aver accettato questa intervista. Le faccio innanzitutto i complimenti per il suo ultimo libro, un romanzo storico che ha tanto da dire. Ma veniamo a noi:

 

Ha scritto già altri libri e con il racconto “I ricordi del cuore” ha vinto il concorso letterario internazionale “Roma chiama Berlino”. Come scrittore è già ben noto, ma nella vita privata chi è Franco Casadidio? 

 

«Sono nato 51 anni fa a Terni, la città dove tutt’ora vivo e lavoro come impiegato nella segreteria didattica del Liceo Scientifico “Galilei”. E’ un lavoro che mi piace soprattutto perché mi dà la possibilità di essere sempre in contatto con i giovani, un’esperienza davvero unica e di grande valore perché, nonostante le tante cose spiacevoli che si raccontano sulle nuove generazioni, questi ragazzi sono veramente in grado di esprimere molto; forse starebbe a noi adulti, a volte, riuscire a comprenderli meglio. Sono sposato e ho due figli in età adolescenziale, con tutto quello che ne consegue: Luca frequenta il quarto anno di scuola superiore mentre Sara è attesa quest’anno dall’esame di terza media. Ecco, questo è la mia vita quando svesto, per un po’, i panni dello scrittore.»

 

Come è nata la sua passione per la storia tedesca contemporanea?

 

«Questa è una di quelle domande che mi mette sempre in grossa difficoltà, ogni qualvolta mi viene rivolta. La difficoltà nasce dal fatto che, molto onestamente, non so proprio da dove provenga questa mia passione. È qualcosa di innato, che mi accompagna fin da quando ero bambino. Amo tutta la storia in generale, anche se alcune epoche mi hanno sempre incuriosito più di altre: l’antico Egitto con i suoi misteriosi Faraoni, oppure l’Impero Romano con le sue mirabolanti conquiste. Anche il Medioevo, a torto ritenuto un “periodo buio”, ha sempre esercitato un grande fascino su di me anche se nulla è paragonabile al Novecento, con le sue sanguinose guerre e la tragedia immane della Shoah.»

 

Visti i temi trattati nel romanzo, ha incontrato molti dubbi e difficoltà durante la stesura? 

 

«A essere sinceri, no, non mi ha mai sfiorato alcun dubbio. Mi piaceva l’idea di scrivere un libro su quel periodo storico, così come avevo il grande desiderio di raccontare, attraverso una semplice storia d’amore, le atrocità di quegli anni. Inoltre, cosa non secondaria, volevo lasciare nei lettori il ricordo di quello che è accaduto perché è proprio attraverso il ricordo che dobbiamo fare in modo che queste cose non accadano mai più; ecco, non ho mai avuto dubbi ma, anche se ne avessi avuti, di fronte a questa riflessione sarebbero svaniti all’istante.»

 

Secondo lei, questo tragico scorcio della storia del mondo viene insegnato adeguatamente a scuola, o si potrebbe fare di più? 

 

«In quanto a questo c’è da fare una distinzione secondo me fondamentale. Lo studio della storia a scuola, negli ultimi anni, è stato drasticamente ridotto in termini di ore; questo ha fatto sì che, laddove c’era già grande difficoltà nel portare a termine i programmi, la situazione sia diventata ancora più difficile. I programmi di storia degli anni terminali delle scuole secondarie di primo e secondo grado (scuole medie e superiori per intenderci) sono vastissimi e difficilmente si riescono a portare a termine per intero. In genere la storia del Novecento si affronta alla fine dell’anno scolastico, proprio quando si vengono a sommare una serie di fattori, diciamo così, negativi: la naturale stanchezza dei ragazzi che li porta ad impegnarsi di meno si unisce all’affollamento degli adempimenti burocratici di fine anno che occupano ormai tutti i docenti ben oltre quanto sarebbe lecito attendersi e alla necessità degli stessi di riuscire ad arrivare al termine del programma ministeriale in tempo utile per cui, spesso, gli argomenti vengono trattati in maniera superficiale, evitando troppi approfondimenti. Tutto questo fa sì che proprio il periodo storico più vicino a noi in termini temporali sia, paradossalmente, quello trattato con maggiore superficialità, lasciando a volte che i ragazzi approfondiscano da soli gli argomenti a cui sono interessati, affidandosi, magari alle notizie trovate in rete, con tutti i rischi che questo comporta come ben sappiamo. Fortunatamente, però, da qualche anno a questa parte, con l’istituzione della giornata della memoria il 27 gennaio, nelle scuole si è tornati a parlare in maniera importante della Shoah e di quanto accaduto in quei terribili anni e questo è sicuramente un aspetto positivo che non va sottovalutato. Negli ultimi due anni sono stato in moltissime scuole in tutta Italia, dalle elementari alle superiori e la cosa che mi ha colpito di più è l’attenzione con la quale gli studenti ascoltano quello che racconto loro e ancor di più mi ha meravigliato il fatto che l’attenzione è maggiore nei più piccoli, nei bambini delle scuole elementari e questo mi fa ben sperare per il futuro perché è proprio nell’età pre-adolescenziale che si debbono acquisire quei valori legati al rispetto delle diversità dell’altro che sono condizione fondamentale per la costruzione di un mondo migliore.»

 

Come ritiene sia l’atteggiamento del mondo moderno rispetto alla storia? Forse le persone devono ricordare meglio o imparare di nuovo, approfondire? 

 

«Proprio nelle scuole, ai giovani, ripeto sempre una frase molto utilizzata, forse anche abusata, ma che reputo profondamente vera: la storia è maestra di vita, ma ha dei pessimi studenti. La storia, spesso, si ripete e basterebbe conoscerla un po’ meglio per far sì che certi errori non abbiano a ripetersi o, per lo meno, conducano ad effetti meno nefasti. La domanda che mi pongo, però, è: abbiamo ancora voglia di imparare e approfondire? Studiare, apprendere, sono processi faticosi, a volte lunghi e che in alcuni casi richiedono di rivedere e rivalutare fino a cambiare, se necessario, il nostro modo di essere e di pensare. Siamo disposti a farlo? Forse il vero problema è proprio questo.»

 

Jürgen e Sara, i protagonisti della storia, si divideranno a causa degli eventi storici. Le ideologie di Jürgen verranno messe a dura prova, comportando un cambiamento importante nel suo modo di pensare; invece Sara si distinguerà per la sua ammirabile tenacia. Da dove è derivata la voglia di raccontare una storia d’amore di questo tipo?

 

«Vede, io sono un appassionato di storia ma, ahimè, non uno storico. Ci sono fior di professori universitari che possono scrivere – e lo fanno in maniera egregia – meravigliosi saggi. Io non posso farlo, non è la mia professione, però, da appassionato di storia e di scrittura, mi diletto nello scrivere storie di fantasia legate a determinati periodi storici, per dare un piccolo e modesto contributo alla divulgazione. Mi piaceva l’idea di raccontare la storia di due ragazzi come ce ne sono tanti al mondo, di due innamorati, che la grande storia, quella con la esse maiuscola, mette alla prova; riuscirà il loro amore a sopravvivere? Come uscirà la loro relazione dalle traversie che saranno chiamati ad affrontare? Cosa accadrà alle loro vite quando il destino li separerà? Una storia d’amore frutto della mia fantasia ma inserita in un contesto storico assolutamente reale, così come reali sono gli avvenimenti narrati e i personaggi che fanno da contorno ai due protagonisti.»

 

Ritiene che, con un po’ di senno e lungimiranza, l’ascesa al potere di Hitler poteva essere evitata, sia dalle forze politiche interne alla Germania sia da parte delle altre nazioni europee?

 

«L’ascesa di Hitler al potere avvenne anche grazie ad una serie di clamorosi errori di valutazione, sia da parte dei suoi avversari politici in Germania, che delle cancellerie europee. In Germania erano in molti a credere che quello strano personaggio originario dell’Austria, una volta entrato nelle stanze del potere, avrebbe ammansito i suoi seguaci, trasformando così il partito Nazista in uno dei tanti partiti di destra che popolavano la galassia politica tedesca. Lo stesso presidente della Repubblica, von Hindemburg, dopo essersi rifiutato per anni di affidare l’incarico di Cancelliere a Hitler, si lasciò convincere dai suoi consiglieri – tra i quali figurava anche suo figlio Oskar – a nominare quello che lui definiva sprezzantemente “l’imbianchino austriaco”, alla carica di Primo Ministro.»

 

«Com’è superfluo ricordare, poi, una volta arrivati al potere, non solo i nazisti non cambiarono pelle ma sfruttarono sapientemente tutte le situazioni che la posizione raggiunta gli garantiva per eliminare, uno dopo l’altro, tutti gli avversari politici, alleati compresi; in poco più di sei mesi Hitler trasformò un paese democratico in una dittatura monopartitica, dando il via al regime più sanguinario che la storia d’Europa abbia mai conosciuto.»

 

«All’estero, nello stesso tempo, l’errore di valutazione fu, se possibile, ancora più grande. L’Inghilterra e la Francia si piegarono fin da subito alle richieste tedesche in materia di politica estera; nessuno protestò quando Hitler annesse l’Austria così come tutti tacquero quando, tra il 1938 e il 1939, la Germania fagocitò prima i Sudeti – la regione di lingua tedesca della Cecoslovacchia – e poi l’intero Paese, rendendolo, di fatto, un protettorato tedesco. Nella classe dirigente delle potenze democratiche europee albergava una grande, doppia illusione: quella di poter fermare Hitler, assecondando le sue richieste e quella di poter sfruttare la Germania nazista come baluardo contro l’avanzata del bolscevismo sovietico. Entrambe le illusioni andarono ben presto in frantumi; né l’annessione dell’Austria, né quella della Cecoslovacchia fermarono le mire espansionistiche di Hitler mentre, riguardo alla seconda aspettativa, il patto Molotov-Ribbentrop, con il quale la Germania nazista e l’Unione Sovietica comunista si spartirono, di fatto, la Polonia, lasciò il mondo esterrefatto.» 

 

Nel libro riesce a raccontare molti fatti curiosi e inediti riguardo alla vita dei personaggi reali e agli eventi storici. Cosa può dirci sulla sua attività di documentazione e quali consigli darebbe agli aspiranti scrittori su come documentarsi prima di scrivere un libro?

 

«Inutile negare che, alla base di tutto, ci deve essere una grande passione. Scrivere un romanzo storico vuol dire raccontare degli avvenimenti effettivamente accaduti, parlare di personaggi realmente esistiti. Per fare questo in maniera seria e con la massima professionalità, bisogna documentarsi, in modo preciso, pignolo, senza lasciare nulla al caso. Fare tutto questo, come è ovvio, richiede tempo e anche sacrificio e senza una vera passione, è qualcosa difficile da realizzare. Io, personalmente, leggo moltissimi saggi storici ma anche biografie che mi permettono di penetrare a fondo gli aspetti privati e meno noti di personaggi famosi che, troppo spesso, conosciamo solo superficialmente.»

 

«Tutti sanno chi era Hitler e cosa ha fatto nella sua vita, ma quanti sono al corrente, ad esempio, che non era tedesco ma austriaco? E quanti sanno che, proprio lui che avrebbe scatenato la più sanguinosa guerra che si sia mai combattuta, appena compiuta la maggiore età scappò dalla sua madrepatria proprio per non fare il servizio militare? O, ancora, che da giovane aveva avuto un rapporto difficilissimo con il padre ma adorava letteralmente sua madre tanto da soffrirne la perdita ancora in età adulta? Ecco, prima di scrivere un romanzo storico bisogna studiare, conoscere, sviscerare fatti e personaggi ma lo si può fare solo avendo una grande passione per la storia a tenerci compagnia.» 

 

Le andrebbe di condividere con i lettori di Hermes Magazine i libri e le esperienze che l’hanno segnata profondamente? 

 

«Per quanto riguarda i libri, quello che ricordo con più piacere non è di certo uno di quelli che compaiono nella “Hall of Fame” dei libri di tutti i tempi, ma per me ha un valore tutto particolare. Si tratta di “Ventimila leghe sotto i mari” di Jules Verne. Lo ricordo con piacere perché fu il primo libro che ricevetti in regalo da bambino e ricordo che mi piaceva leggerlo alla sera, prima di addormentarmi perché poi, quando spegnevo la luce e chiudevo gli occhi, sognavo con la fantasia tutto quello che avevo appena letto, immaginando di essere all’interno del sommergibile del capitano Nemo e di vivere quelle mirabolanti avventure. Poi, crescendo, ci sono state tante altre letture, ma quel libro mi è sempre rimasto nel cuore. Una delle esperienze che più mi hanno segnato, invece, si ricollega al mio libro “Il volo del canarino” ed è la visita fatta al campo di concentramento di Dachau, vicino Monaco. Si può parlare quanto si vuole di quello che è accaduto ma trovarsi davanti a quelle docce dalle quali non usciva acqua ma gas e immaginare cosa devono aver provato quelle migliaia di persone uccise in quel modo è qualcosa che non si può dimenticare, che ti resta dentro e ti segna per sempre.» 

 

Crede nel destino oppure nelle conseguenze evitabili?

 

«Credo che il destino sia già tutto scritto da qualche parte e che, anche quando ci illudiamo di cambiarlo con le nostre scelte, in realtà è solo un’illusione, per l’appunto. Ciò non toglie che ognuno di noi debba lottare per realizzare i propri sogni, i propri ideali e le proprie aspettative: forse il senso della vita è tutto quì.»

 

Visti anche i suoi impegni lavorativi, come riesce a conciliarli con la scrittura? 

 

«Non è facile conciliare gli impegni lavorativi, quelli familiari e personali con la scrittura ed è per questo che scrivere un libro richiede, almeno per me, molto tempo. Normalmente dedico alla scrittura le ore serali, quelle in genere più tranquille anche se la scrittura è un processo strano, da questo punto di vista: l’ispirazione non segue regole precise per cui, a volte, capita che l’idea per quel determinato personaggio o per quel capitolo ti venga in mente quando sei per strada e allora, grazie allo smartphone,  corro a fissare l’idea stessa in una nota vocale che poi rielaboro in un momento di tranquillità. In questo le nuove tecnologie sono di grande aiuto, anche a uno scrittore.»

 

Progetti per il futuro? 

 

«Covid permettendo, nel 2021 dovrebbe uscire il mio nuovo libro. Si tratta anche in questo caso di un romanzo storico ma questa volta ho abbandonato la Germania per trasferirmi in Italia, sul fronte Isontino e raccontare la storia di due soldati nelle trincee della prima guerra mondiale. Non le racconto altro, però, perché come mi ha detto una bambina di terza elementare di una scuola di Cesena dove ho svolto l’incontro con l’autore in occasione della giornata della memoria 2020 “non bisogna spoilerare il libro” e quindi io, fedele a quel rimbrotto, ormai faccio di tutto per evitare di rivelare alcunché!»

 

Dottor Casadidio, la ringrazio nuovamente a nome di Hermes Magazine per questa intervista, ha esplicato alcuni punti su cui dovremmo riflettere. Le auguro tanta fortuna per il suo libro e per i progetti futuri.


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