“La variabile umana”: quando la psichiatria non è la soluzione

Condividi su

Lorenza Ronzano è laureata in lettere, specializzata in filosofia e psicologia e ha insegnato per diversi anni in scuole pubbliche e private. Nel 2019 scrive il saggio La variabile umana, edito da Eleuthera, un lavoro che nasce dalla sua esperienza in qualità di consulente filosofico presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di Alessandria. Quasi tutti i giorni, per tre anni, Lorenza ha incontrato i pazienti e li ascoltava insieme a uno psichiatra, facendo delle costatazioni importanti, condivise e controverse allo stesso tempo, a cui però nessuno dedica la giusta attenzione. È questo il motivo principale per cui Lorenza ha scritto tale saggio: dare voce a una verità silente, latente sotto la superficie pulsante di un’umanità ferità.

 

 

Esiste un infinito novero di problematiche che, per comodità e logica scientifica, si tende a catalogare, e per ognuno viene previsto un determinato protocollo. Tuttavia, per quanto questa costante possa essere accettata in modo pacifico, vi è una variabile di cui bisogna tener conto: gli esseri umani non sono uguali tra di loro, e di conseguenza le cause del loro malessere interiore non sono riconducibili sempre alla medesima origine.

 

Quello che l’autrice intende fare in questo lavoro è sviluppare una critica non tanto nei confronti della psichiatria in sé, quanto delle modalità con cui essa viene usata, contro i protocolli utilizzati e le classificazioni diagnostiche annesse. Spesso questa via sembra essere la soluzione più rapida ed efficace al cospetto delle prime avvisaglie di storture della vita di un individuo, o anche in una sua fase avanzata. Ma i malesseri interiori sono plurimi e hanno origini altrettanto differenti. Spesso le persone hanno bisogno semplicemente di essere ascoltante, avere la possibilità di tirare fuori un dolore interiore che, nella maggior parte delle volte, non ha nulla a che fare con una soluzione di carattere psichiatrico. È esattamente questa la conclusione cui perviene Lorenza Ronzano.

 

“Chiaramente, nel reparto c’erano alcune persone che erano affette da squilibri psichici gestibili solo attraverso un trattamento psichiatrico. Ma nella maggior parte dei casi si trattava di individui le cui problematiche erano di natura sociale”.  

 

I “pazienti” esprimevano un malessere interiore che non era sempre sinonimo di malattia psichiatrica, ma al contrario derivava da vicende della vita di tutti i giorni, quali la disoccupazione, le ristrettezze economiche, la solitudine, l’assenza di cure. Si trattava cioè di questioni che la psichiatria non poteva chiaramente risolvere. Etichettare le persone e prescrivere cure farmacologiche, senza effettuare un’analisi più profonda e “sociale”, rappresenta un approccio scientifico certamente incompatibile con la miriade di fattispecie eterogenee che compongono la variabile umana.

 

In effetti questa osservazione non è rimasta sorda, né isolata. A onor del vero, alcuni psichiatri si sono opposti a queste tesi, ma la maggior parte degli specialisti del settore che Lorenza affiancava nelle sedute con i pazienti si è trovata d’accordo con lei. L’unico problema è che loro non sanno come reagire. Vorrebbero cambiare il loro metodo, ma devono attenersi al protocollo. Combattere “il sistema” dall’interno può essere davvero arduo se le regole sono eccessivamente stringenti, dunque una soluzione sarebbe quella di cambiare le regole stesse, una circostanza che gioverebbe a tutti e metterebbe in moto una macchina che ha, sì, un grande potenziale, ma è pesante e farraginosa. Si potrebbe, per esempio, creare un legame burocratico tra queste strutture e altre realtà amministrative, mettere nelle mani degli specialisti maggiori mezzi e una più ampia libertà di manovra. Se un individuo rasenta delle forme di squilibrio interiore perché ha perso il lavoro, forse un aiuto più efficace potrebbe essere quello di incanalarlo in una procedura che lo riavvii al mondo del lavoro.

 

Ogni essere umano ha una sua storia, vive eventi personali e subisce sulla propria pelle conseguenze specifiche, che vengono assorbite e penetrano l’individuo. Non si vuole mettere in discussione questa branca della medicina, ma si intende “soltanto” suggerire un approccio diverso con l’umanità.  


Condividi su