Elisabeth Asbrink smonta con intelligente ironia i luoghi comuni del suo Paese, la Svezia

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Può essere capitato, durante una conversazione, di sentir dire “eh ma in Svezia…” con seguito di lodi per il loro sistema perfettamente funzionante, il loro esempio di Welfare, per l’Ikea, le bionde, Bergman, la Volvo, l’alto funzionamento del lavoro, il senso della fiscalità, il rispetto nei diritti civili, l’ambientalismo eccetera. Quando si parla della Scandinavia, ma in particolare della Svezia, inizia sempre un senso di riverenza mista a complesso di inferiorità verso una civiltà percepita come migliore. Qualcosa che ricorda quesiti psicologici da età coloniale. Ma non ci soffermeremo su questo punto.

La scrittrice Elisabeth Asbrink nei suoi libri si è espressa più volte su questa mitologia ingombrante. Già in libri come E nel Wienerwald ci sono ancora gli alberi metteva luce sul passato filonazista di Invar Kamprad, fondatore dell’Ikea. Come a voler proprio alludere che questo impero nordico fondato sul benessere, l’innovazione, il design popolare, sia in realtà frutto di rapporti politici provenienti dall’estrema destra di Per Enghald. Personaggio che l’autrice riprenderà nel suo famoso libro 1947.

L’argomento però viene approfondito nel libro Made in Sweden, una solare decostruzione del mito svedese. La domanda che si pone Elisabeth Asbrink è una delle più grandi problematizzazioni del Welfare: se diminuisce l’occupazione, come può lo Stato continuare a tenere in piedi la società a cui i cittadini sono abituati? Trovo molto interessante la questione dell’abitudine, in questa faccenda. Un certo stile di vita diventa con il tempo naturalizzato. Anche nel disagio ci si abitua, figuriamoci nel benessere. Così vediamo che la struttura sociale della Svezia deve integrare la domanda di Asbrink. Nel libro la scrittrice riporta il discorso di Fredrik Reinfeldt, Primo ministro della Svezia nel 2014.

«Abbiamo adesso persone in fuga in numeri simili a quelli che abbiamo avuto durante la crisi dei Balcani all’inizio degli anni Novanta. Faccio ora appello al popolo svedese perché abbia pazienza, perché apriate i vostri cuori per vedere persone in preda a forte angoscia, con minacce alla propria vita, che fuggono, fuggono verso l’Europa, fuggono verso la libertà, fuggono verso condizioni migliori. Mostrate quell’apertura. Mostrate quella tolleranza quando sentite dire che “diventano così tanti”, “diventa così complicato”, “diventa così difficile”. Mostrate la tolleranza e mostrerete anche di ricordare che già in passato l’abbiamo fatto. Abbiamo visto persone arrivare da situazioni di stress, fuggire dall’oppressione, che poi si sono inserite nella nostra società, hanno imparato la lingua svedese, trovato lavoro e adesso danno una mano a costruire una Svezia migliore e più libera.»

Il contrasto all’immigrazione è diventato la spontanea reazione popolare alla crisi del Welfare. Le differenze sociali hanno iniziato a dipendere dal luogo di nascita dei cittadini della Svezia. Prima il Welfare era contrapposto ai tagli fiscali, ora all’immigrazione. In seguito, Fredrik Reinfeldt ha perso le elezioni. La scrittrice pone a tale proposito una questione: “Perché proprio in quel momento molti di quegli ‘intellettuali’ che difendevano l’immigrazione, sono stati zitti? Forse perché lo Stato assistenziale porta con sé potenziali ricatti, la vita delle persone rischia di diventare oggetto di strumentalizzazione e addirittura ne viene prezzato il valore. Dunque chiaro, ogni volta che si sente parlare di diritti bisogna sempre aprire le antenne e domandare: si ma a quale prezzo?

C’è da dire che però la stessa Asbrink ha spezzato una lancia a favore della condizione della donna in Svezia, che ha ritenuto la migliore al mondo. Infatti, appare chiaro come l’intento decostruttivo di Asbrink non appartenga alla polemica sterile. Semplicemente mostra come per trovare un equilibrio sociale si debba imparare a porsi domande continuamente e forse, per il benessere, rinunciare alle comodità mentali che ci danno sicurezza, ma che portano le condizioni a peggiorare in un raggio a lungo termine.


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