“Ei fu siccome immobile”: compie 200 anni l’ode di Manzoni dedicata alla morte di Napoleone

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Fonte: cultura.biografieonline.it

Il 5 maggio 2021 si celebra, non senza accese polemiche, il bicentenario della morte di Napoleone. Mentre in Francia imperversa la discussione sull’opportunità o meno di commemorare una figura controversa, rea – tra le tante pecche – di aver reintrodotto lo schiavismo nelle colonie e promulgato un codice civile secondo il quale le donne erano considerate dei minori sotto l’autorità del marito, che poteva picchiarle, ucciderle se sorprese in flagranza di adulterio e abusarne a piacere poiché “soddisfarlo” era parte del loro “dovere coniugale”, in Italia riaffiorano i ricordi scolastici dell’ode manzoniana.

Tormento, più che estasi, di tutti gli studenti, Ei fu siccome immobile” sono probabilmente i versi più citati e ricordati della letteratura italiana. Anche se difficilmente la maggior parte di noi è in grado di sciorinare senza esitazioni i 108 versi in rima che compongono il Cinque Maggio, almeno l’attacco è rimasto marcato a fuoco in modo indelebile dalle tante ripetizioni a scuola, e almeno un altro famoso stralcio dell’ode è assurto al rango di opera immortale, come d’altro canto si augurava l’autore quando scriveva “un cantico che forse non morrà”. Chi, infatti, non ha mai sentito la frase “Ai posteri l’ardua sentenza”, magari senza sapere che si trattasse di un quesito che Alessandro Manzoni si poneva in merito all’essere o meno le imprese bonapartesche vera gloria”?

E già che di “verità” si parla, va detto, a onor, appunto, del vero, che l’ode manzoniana potrà spegnere le 200 candeline del suo anniversario il 17 luglio 2021, poiché ha visto la luce l’anno della morte di Napoleone, sì, ma solo durante l’estate. Il Manzoni, infatti, apprese la notizia della dipartita del Bonaparte leggendo nel giardino della sua residenza estiva, in quel di Brusuglio (MI), il numero della Gazzetta di Milano del 16 luglio.

Quasi folgorato dall’ispirazione – si dice anche perché commosso dalla similitudine tra la conversione in fin di vita dell’ex-imperatore e il suo personale riavvicinamento alla fede cattolica -, Manzoni si dedicò anima e corpo alla stesura dell’ode, riuscendo in tempi record rispetto alla sua proverbiale lentezza compositiva. In soli tre giorni il 5 Maggio era stato scritto. Fortunatamente, oltre che per i posteri, anche per la moglie del romanziere milanese, che, secondo i ricordi del figliastro, Stefano Stampa, era stata tenuta al piano “perché sonasse, sonasse qualunque cosa, ripetesse anche lo stesso motivo, purché suonasse continuamente”. Pare infatti che una delle nevrosi dell’Alessandro nostro fosse la pretesa che la moglie suonasse ininterrottamente mentre lui scriveva – in questo non dimostrando una considerazione tanto maggiore verso le donne del celebre tiranno cui si accingeva a immortalare “la spoglia immemore orba di tanto spiro”.

Giunto il 20 luglio alla versione finale, non senza qualche aggiustamento in corsa – la sostituzione, ad esempio, di “come al terribile segnal della partita”, che ricorda una brutta telecronaca di calcio, con l’ormai iconico e meglio riuscito “siccome immobile, dato il mortal sospiro” -, Manzoni si trovò a doversi confrontare con la censura del potere, che, oggi come allora, voleva mettere il becco nei discorsi artistici (Fedez, chi avrebbe detto che ti si avrebbe potuto accomunare all’autore dei Promessi Sposi come oppositore del controllo sulla libera espressione dell’arte?).

Poiché i social ancora non esistevano, ma già allora non era difficile riconoscere gli influencer, Alessandro decise astutamente di consegnare una copia del suo componimento al vaglio austriaco (che non ne approvò la pubblicazione) e al contempo inviarne un’altra a Goethe, che invece ne fu entusiasta, la tradusse in tedesco e diffuse sulla rivista Ueber Kunst und Alterthum, decretandone il successo internazionale. In questo modo Manzoni ovviò al veto dell’Austria, che non aveva apprezzato il tono quasi encomiastico con cui si parlava di un loro recente acerrimo nemico.

Il consenso fu grande e unanime, grazie anche ad altre versioni manoscritte che erano circolate, sempre con l’ottica di aggirare la censura – in un tempo in cui non erano ancora di moda i video col telefonino per farlo.

Secondo comunque la maggior parte degli studiosi, la censura austriaca prese un grande abbaglio ritenendo che il Cinque Maggio fosse una celebrazione di Napoleone: in realtà Manzoni, per le sue idee liberali da sempre critico del tiranno francese, era più che altro interessato a sottolineare l’uomo che restava, solo, isolato, timoroso davanti alla morte, in contrasto con il grande imperatore che aveva messo in scacco “due secoli, l’un contro l’altro armato”, ergendosi ad “arbitro […] in mezzo a lor”. L’oppressore che, alla fine della sua vita, diventa oppresso: dal suo passato, dalla sua sconfitta, dal ricordo delle sue imprese (“tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese”). La persona assetata di potere e di fama (“Oh quante volte ai posteri narrar sé stesso imprese”) che torna ad essere un semplice uomo, quel “ei fu” manco nominato per quanto tutti già sanno di chi si tratti e che, eppure, sparisce come gli altri, come gli altri diventa polvere, come gli altri scompare. Non per un caso, secondo molti, lo scrittore milanese ha utilizzato la stessa metrica che utilizzerà poi nel coro dell’Adelchi, altro testo in cui, pur da differente angolazione, affronta il tema dell’eroismo per demistificarlo.

Che vogliate quindi unirvi alla ormai lunga lista dei detrattori del despota di origine italiana o preferiate far parte di coloro che ancora ne celebrano le “eroiche gesta”, l’ode di Manzoni può prestarsi ad entrambe le interpretazioni. Non resta che rispolverare i ricordi scolastici più o meno lontani nel tempo e rileggersela, magari con mano sul cuore, posa fiera alla Napoleone… e sguardo critico alla Manzoni sull’operato del Bonaparte.


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