Il cuoppo napoletano: tutto ciò che c'è da sapere

Il cuoppo napoletano: tutto ciò che c’è da sapere

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Fonte foto: Radio Alfa da Flickr

Il termine cuoppo deriva dal latino coppam, ovvero botte ma, date le dimensioni più piccole del contenitore dalla forma conica in questione, è preferibile far riferimento al termine maschile coppum, che riguarda, appunto, un contenitore di minor volume. Il cuoppo napoletano nasce nell’Ottocento e serviva per sfamare i più poveri, che riuscivano a pagare i cuoppi nel giro di una settimana.

L’etimologia

La parola cuoppo la ritroviamo nel film del 1958 “Totò a Parigi”, in cui Totò cantava: “Miss, mia cara Miss, nu cuoppo allesse io divento per te”.

In tal caso il termine “cuoppo allesse” si riferiva allo stato d’animo remissivo di un uomo nei confronti della propria donna amata. Ma perché si dice “cuoppo allesse”? Vi era un’antica usanza napoletana, quella di incartare le castagne appena bollite, allesse per l’appunto, che venivano acquistate dai venditori di castagne, i castagnari, in un foglio di giornale a forma di cono, il cosiddetto cuoppo, appunto; le castagne, rilasciando l’umidità, bagnavano il cuoppo che in tal modo si deformava. Spesso, infatti, questo termine viene utilizzato per evidenziare le forme sgraziate di una donna.

Ai giorni nostri il cuoppo, detto anche cuppetiello, è un cono di carta paglia assorbente, ideale per i fritti, capiente e comodo da tenere con una sola mano; rappresenta uno dei piatti preferiti dagli amanti dello street food, da gustare durante una passeggiata, anche se può essere proposto come antipasto o aperitivo.

Tipologie di cuori

Esistono almeno tre diverse tipologie di cuoppi napoletani: il primo è il cuoppo di mare, che comprende vari bocconcini di pesce, tra cui alici, baccalà, moscardini e calamari, oppure pasta cresciuta con alghe; il secondo tipo è il cuoppo di terra, che comprende non solo verdure e frittelle di pasta. Al suo interno infatti, possiamo gustare, ad esempio, mozzarelline fritte, crocchè, verdure fritte o pastellate, fiori di zucca lisci o farciti con ricotta, zeppole di pasta cresciuta, frittatine di pasta. Il terzo tipo di cuoppo è quello dolce, che ha preso piede solo recentemente nella cultura gastronomica partenopea. All’interno del cuoppo dolce possiamo ritrovare bocconcini di pasta cresciuta e zeppoline fritte, passate nello zucchero semolato oppure ricoperte di nutella.

Il cuoppo, tuttavia, lo possiamo trovare anche in altre località italiane, come, ad esempio, ad Ascoli Piceno. Si differenzia da quello napoletano per il contenuto: mentre a Napoli il cono è riempito, come abbiamo visto, di crocchè o verdure pastellate, nel cartoccio di Ascoli troviamo fritti con la crema pasticciera ed olive all’ascolana.

Esiste un cuoppo perfetto? Già vederlo servito bello pieno stuzzica l’appetito, ma ovviamente ci sono delle regole da seguire per quanto riguarda la frittura. La prima regola è quella di valutare bene le dimensioni dei pezzi da friggere: pesce, verdure e pasta devono essere piccoli per essere mangiati in un sol boccone, ma allo stesso tempo devono poter soddisfare il cliente. Per avere un fritto perfetto c’è bisogno di due cose: l’olio di arachidi ed una temperatura di frittura pari a 175°C. Se andiamo al di sotto l’alimento assorbirebbe troppo olio, mentre a temperature più elevate si rischierebbe di bruciarlo.

Bisogna fare molta attenzione al cono di carta: più è asciutto, migliore sarà la sua qualità di esecuzione. Inoltre il cuoppo napoletano va servito caldo, appena fritto. L’unico materiale da usare come cono contenitore è la carta paglia, in quanto è abbastanza spessa da poter reggere il peso ed assorbire l’eventuale olio in eccesso; si sconsiglia, invece, la carta da forno.


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