Diete consapevoli, perché potrebbero salvare il pianeta?

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Fonte foto: Giulia Marone

Si tratta dell’effetto farfalla, ogni gesto ha un impatto e genera una serie di eventi in un’altra parte del mondo. Una dieta consapevole sceglie una via alternativa affinché queste reazioni possano portare una tipologia di crescita diversa da quella alla quale si è soliti fare riferimento nell’era della globalizzazione. La dieta consapevole punta a generare Fil: ma che cos’è la fil? Si tratta della Felicità interna lorda ed è un indicatore del benessere, introdotto all’inizio degli anni ’70 in Bhutan.

La Fil tiene conto dei seguenti parametri: conservazione dell’ambiente, il livello di cultura e di istruzione, la salute e la qualità dei rapporti sociali, con l’intento di ottenere un’interazione armonica con la vita che ci circonda e con l’universo.

Dicendo questo, abbiamo già svelato in larga parte il perché molte delle diete consapevoli sono diete prevalentemente vegane. Il problema non è seguire una dieta onnivora, ma mangiare in modo non consapevole, dove si crede che le risorse siano infinite e che la terra possa sopportare un aumento costante di produzione dei beni di prima necessità e questo non è sostenibile. Bisognerebbe prima di tutto imparare a mangiare prodotti locali, rispettando la ciclicità della stagioni anche a tavola, rivolgersi alla filiera corta possibilmente a km0; rivolgersi ad agrimacellerie che vi permettono di vedere in che modo vengono allevati gli animali e conoscere direttamente i contadini che vi lavorano. Imparare a consumare meno, sapendo davvero che cosa si sta portando a casa e di che cosa ha davvero bisogno il nostro corpo, senza delegare il sostentamento umano a non più di una ventina di prototti vegetali o pensando che le proteine possano essere solo di natura animale. Un esempio pratico? La pasta proteica che potete trovare comodamente al supermercato e che è fatta in prevaleza di piselli!

Ma niente sermoni! Invece di fare un elenco di nomi e di cibi, abbiamo scelto di mostrarvi questo mondo attraverso l’approccio di due donne che, oltre ad aver fatto una scelta consapevole, portano avanti nel quotidiano la diffusione di ricette e informazioni utili per condurre una vita ecosostenibile.

Ecco qui che cosa ci hanno raccontato Giulia Marone (che cura Natureat Magazine di Il Babi Editore) ed Eleonora Di Billo (neo youtuber, che fa nascere il suo canale di ricette Conscious RebHell con l’unico intento di sensibilizzare chi sceglie di seguirla). Vedremo due partenze e due percorsi molto diversi fra loro, ma il medesimo punto di arrivo: una qualità di vita migliore per tutti e tutto, ed una grande voglia di coinvolgere gli altri, per il bene del pianeta.

Che tipo di dieta consapevole segui?

Giulia: “Seguo una dieta al 90% vegana. Io la considero tale perché la maggior parte dei miei pasti è di orginie vegetale. Non mi piace definirla “flexitariana” come si sente dire ogni tanto, perché per me è un termine troppo generico rispetto alla quantità e alla frequenza dell’utilizzo di alimenti animali nell’alimentazione. Mangio molta verdura di stagione, molti legumi e cereali diversi. Se sono di fretta utilizzo pasta fatta con diversi tipi di farina, per variare sia ingredienti che nutrienti: pasta di farina di legumi, comodissima se mescolata alla pasta classica, per bilanciare il piatto in pochi passaggi; cereali senza glutine, quali grano saraceno, mais e riso, oppure pasta di farro, senatore cappelli, di frumento integrale. Cerco di mangiare molta frutta, soprattutto a colazione, spesso a km zero, ma mi piacciono molto le banane in alcune stagioni. Adoro i surrogati dei formaggi, che utilizzo da anni perché sono leggermente intollerante al lattosio da sempre. Quindi tofu e creme fatte con esso, o a base di latti vegetali; mi piace moltissimo anche il tempeh e trovo sia molto saziante, ma sono alimenti che mangio di meno rispetto agli altri. Mi capita molto più spesso di mangiare legumi di ogni sorta e sotto varie forme (polpette, creme, ripieni, in insalata o come condimento della pasta e delle minestre). Quindi, di base, la mia alimentazione è vegetale. Però succede che ci sia l’occasione, in compagnia, dove non ci sono molte offerte vegetali (aperitivi dove di vegan ci sono solo le chips) oppure pranzi con famigliari dove il risotto è mantecato con formaggio, o se mi vengono amorevolmente servite delle lasagne casalinghe. Ci sono gite in montagna dove i formaggi sono quelli di alpeggio, il tagliere è fatto con prodotti di allevamenti dove ancora fanno la transumanza. Insomma, ci sono occasioni dove non dico di no e mi godo il cibo come curiosità culinaria, come momento puramente conviviale, come occasione per condividere un momento di amore. Perché il cibo, prima di tutto, è amore. Per me, quindi, mangiare consapevole significa mangiare conoscendo l’origine degli alimenti e il loro impatto sul pianeta. Se mi servissero amorevolmente un cheeseburger del McDonald’s probabilmente direi di no, perché dentro di me c’è la consapevolezza che quell’alimento ha una catena di produzione altamente inquinante ed iniqua, toglie il valore del cibo a quel pasto. L’amore lì, non c’è. C’è solo lo spietato mercato e io preferisco non farne parte”.

Eleonora: “Seguo una dieta prevalentemente vegana, cerco di sostiure il più possibile alcuni alimenti con alternative sostenibili; raramente uso sostituti della carne e dei derivati animali, perché trovo che non siano salutari né per la salute fisica delle persone, né per quella del pianeta. Non sono completamente vegana, per il fatto che lavoro in una cucina e la cucina offre il pranzo a tutti i dipendenti. Abbiamo un’alternativa vegetariana, rare volte vegana, tra cui i bambini possono scegliere ed io ho deciso, per evitare sprechi, di adattarmi a quello che ci viene offerto. Ho fatto questa scelta non solo perchè spesso rimane cibo d’avanzo, ma sopratutto perché penso che sia molto meno sostenibile arrivare a casa e prerarare nuovamente un pasto da zero. Siccome per me una dieta consapevole tiene presente sia la sfera alimentare che quella delle risorse energetiche, credo sia questa la scelta più giusta, anche se questo vuol dire non essere al 100% vegana”.

Quando hai preso questa consapevolezza, eri già a conoscenza dell’impatto che l’alimentazione di consumo di massa ha sulla Terra?

Giulia: “Direi che ho preso piena consapevolezza proprio quando ho iniziato a conoscere l’impatto ambientale dei cibi. Ho avuto un’educazione anti-grande distribuzione fin da piccola: le merendine erano pressochè vietate a casa mia (mai vietare niente, consiglio vivissimo, basta spiegare perché è meglio non comprate certe cose: i bambini lo capiscono e lo faranno sicuramente più volentieri, la vivranno come scelta personale e non come privazione). Non si acquistavano Nike o Adidas; non si sarebbe entrati da McDonald’s nemmeno fosse stato l’unico ristoro per chilometri. Non esisteva la Coca Cola. Non ho sofferto di queste scelte quando ho capito perché la mia famiglia me le “imponeva”: mi hanno salvato da alti livelli di zuccheri aggiunti, da conservanti di ogni sorta, da grassi saturi e dalla dipendenza da queste sostanze. Mi hanno insegnato il valore che hanno le nostre scelte: togliere i nostri soldi da un certo circuito di affari permette di metterli in altro. Quell’ “altro” devono essere attività che si svolgono nel rispetto del territorio, del clima, del prodotto. Che lo fanno con la consapevolezza che dobbiamo consumare per vivere, ma che per sopravvivere non dobbiamo sovraconsumare. Molti dei marchi che ho citato non hanno mai avuto questa filosofia come cavallo di battaglia, né come clausola scritta in piccolo. Tutto l’opposto. 

Dopo questa mia formazione, negli anni, mi sono interessata di alimentazione e nutrizione in genere. Volevo sapere cosa mi faceva bene e perché. Così ho scoperto che il cibo non solo può fare bene o meno al mio corpo, ma può fare bene o meno anche all’ambiente. Proprio quello che le grandi multinazionali hanno cercato di nascondere in anni di sovraproduzione e sfruttamento estremo. Quando ho capito che il mio petto di pollo ai ferri poteva essere causa di un’epidemia globale e, allo stesso tempo, dell’impoverimento dei torrenti di casa mia o della sparizione costante del ghiacciaio del Miage, mi sono detta: “ma cosa cavolo sto facendo?”. È più importante mangiare oggi un animale (oltretutto trattato malissimo e creato ad hoc per la mia tavola) oppure vivere cent’anni con la vista delle montagne innevate e il profumo dei fiori in primavera? Da lì mi si è aperto il mondo delle alternative vegetali, che ho scoperto col tempo essere più salutari e anche molto più di mio gusto! Nella vita bisogna sempre esplorare, quello che valeva ieri, oggi può non valere più (basterebbe pensare a quanti nutrizionisti sono diventati vegani dopo gli ultimi studi sull’alimentazione vegetale).

Io l’ho fatto per il motivo che più mi sta a cuore: la salvaguardia dell’ambiente. ma i motivi per porre attenzione a ciò che mettiamo a tavola sono tantissimi: salute (conoscere gli alimenti ci permette di conoscere anche i nostri bisogni), uguaglianza (molti prodotti sono a basso prezzo perché fatti da persone sfruttate, che ingrassano multinazionali occidentali), empatia verso gli altri esseri viventi (perché la nostra vita dovrebbe valere più di quella di un animale allevato per il macello e lasciato vivere in condizioni da campo di concentramento?). In poche parole: sapere è potere.”

 

Eleonora: “No, non ero già a conoscenza dell’impatto ambientale. Inizialmente ho cominciato a consumare meno carne per assecondare un’esigenza fisiologica, come se fosse stato direttamente il corpo a dirmi di darci un taglio. Questa scelta ha semplicemente voluto dire che, nell’arco della settimana, due giorni erano dedicati al seguire una dieta vegetariana. Da questo piccolo e semplice passo, in poco tempo, è arrivata anche la consapevolezza, perché interessandomi a questo nuovo modo di mangiare è stato inevitabile accostarmi alle motivazioni che spingono le persone a cambiare l’alimentazione per abbracciare uno stile di vita consapevole. È iniziata gradualmente, indicativamente una decina di anni fa, fra una ricetta e un documentario! Fra l’altro se posso vi consiglio di guardare, se volete iniziare ad avere una vaga idea di come lo stile di vita comune impatta sull’ambiente e sulle altre forme di vita, Seaspiracy, Earthling, Cowspiracy. Questi tre documentari in particolare li consiglio caldamente, perché hanno avuto un impatto davvero importante su di me. Informarmi in questo senso mi ha portato a capire quanto il cambiamento nello stile di vita sia importante se fatto in modo consapevole, quindi accompagnato da una costante ricerca e voglia di documentarsi”.

Dalla dieta allo stile di vita ecosostenibile: in che modo e in quanto tempo sei riuscita a fare questo passo?

Giulia: “Il mio stile di vita era già tendente all’ecosostenbilità ancor prima della mia alimentazione: è infatti una delle ultime cose che ho cambiato drasticamente, perché non ero abbastanza informata. Credevo che essere vegani significasse essere ultrasensibili e un po’ masochisti, che lo sforzo non valesse il gioco. Come mi sbagliavo! Io sono sempre stata un’amante dell’impatto zero: non volevo essere causa di danni all’ambiente quindi, se uno spostamento non era necessario, non lo facevo. Se potevo farlo in bici o a piedi, sceglievo questi metodi. Ho viaggiato sempre il più possibile con i mezzi di trasporto pubblici. Poi sono arrivati i tagli alle ferrovie e tutto si è complicato: meno treni, meno orari, più mezzi pubblici su gomma, sempre però per metà vuoti, perché visti come scomodi. È venuto in mia salvezza il carsharing, reso facile e sicuro dalle app.

Come dicevo, a casa mi è stato insegnato il valore delle risorse ancor prima di quello dei soldi. Così, pere esempio, l’acqua non si spreca, si raccoglie per innaffiare i fiori; la doccia non si fa di due ore e non frequentemente senza un bisogno reale; non si butta via il cibo, mai, al massimo lo si trasforma in altro o lo si dà al gatto. Da questa base è stato facile aumentare la mia consapevolezza. Mi è bastato seguire l’istinto e informarmi sui temi che mi stavano a cuore. Vedendo i miei amici e conoscenti che invece faticavano a prendere buone abitudini, ho capito che in realtà io ero un’eccezione, il mio comportamento non era scontato. Così ho posto sempre più attenzione al tema della sostenibilità, perché ho pensato che, come io mi ero stupita di vedere persone che non adottavano semplici pratiche antispreco, era possibile ci fossero altre persone che, vedendo le mie, avrebbero avuto la stessa impressione: sicuramente c’era qualcosa che non sapevo e che avrei potuto migliorare ancora.

Quindi, il cambiamento è stato graduale, si parla di anni. Ed è ancora in corso, perché si può sempre migliorare. Il lavoro nel campo dell’informazione (la rivista Vivere Sostenibile Alto Piemonte, edita nel 2016/2018 dalla casa editrice Il Babi Editore, con la quale mi occupo ancora di ambiente, territorio e nuovi stili di vita) mi ha dato un’accellerazione, da lì ho realmente applicato, ogni anno sempre di più, cambiamenti non solo nei comportamenti, ma anche nel modo di pensare e vivere il mondo. Da lì ho cominciato a cambiare la mia dieta. Infine, abbracciando e gestendo la parte visiva del bimestrale online Naureat Magazine (edita da Il Babi Editore e la foodblogger Patrizia Saccente), ho capito quanto sia importante quello che portiamo a tavola e, soprattutto, quanto sia facile, economico e senza privazioni di gusto manigare vegetale. Per me è divertente, colorato, buono e soprattutto giusto. Mi fa sentire bene sapere che quello che mangio non è nocivo per niente e nessuno. Inoltre mi ha permesso di conoscere storie di persone che si occupano di sostenibilità in ambiti che non avevo ancora preso in considerazione, come il campo dell’industria tessile, un tema che ho approfondito negli ultimi mesi grazie agli articoli di Cristina Valli (potete leggerli anche voi su Natureat Magazine)”.

Eleonora: “Come accennato prima, per me ci sono voluti parecchi anni e tutte le scelte che ho fatto nel corso del tempo sono avvenute grazie all’informazione. Bisogna imparare a reperire informazioni, e questo comporta anche un grande lavoro di scrematura. Magari, per aiutare chi vuole iniziare ad approfondire, vi dico il nome di qualche canale Youtube che ho trovato e che trovo tutt’ora molto utile: Gittemary Johansen e Sustainably Vegan. Da queste due youtuber ho imparato a pensare prima di comprare qualsiasi cosa, analizando non solo se un prodotto è etico, ma tenendo in considerazione anche la provenienza, il confezionamento e lo smaltimento del packaging. Così si mette in moto tutta una catena di ragionamenti che portano a comprare meno, scegliendo un prodotto che delle volte può risultare più costoso ma con zero impatto ambientale. Per approcciare a questo modo di fare la spesa basta tenere presente che ci sono due grandi tipologie di packaging: quelli studiati con materiali upcycle (che significa che quando vengono riciclati possono essere usati ancora miliardi di volte) come carta, vetro e alluminio e materiali downcycle (che quando subiscono il processo per il ricliclo diventano ogni volta meno riutilizzabili) come plastica e derivati della plastica.

Si tratta comunque di un processo che, una volta innescato, ti rende sempre più consapevole e cosciente del fatto che sono scelte necessarie se si vuole permettere alla vita sulla Terra di continuare ad esistere. Così anche la dieta non è che un riflesso di questa consapevolezza, che arriva a permeare tutto ciò che è legato al consumo. Ed è proprio questo processo di consapevolezza che porta chi ancora non è informato a vedere chi vive come me come una sorta di ribelle, da qui la scelta del nome del mio canale che fonde cosanpevolezza, ribellione e il mio nome in insieme: Conscious RebHell”.

Quali sono le diete consapevoli che consigli, ma sopratutto, perché potrebbero salvare il pianeta?

Giulia: “La dieta consapevole che consiglio non è una dieta: è un modo di pensare. Pensa alla tua alimentazione come una cura: tutto quello che introduci nel tuo corpo viene assorbito e diventa parte di te. Quindi, per diventare ciò che vuoi davvero essere, ciò che senti di essere, vorrai sicuramente sapere cosa sta diventando parte di te. Per rendere questo possibile, il primo passo è l’informazione; sappi però che, ad ogni cattiva notizia che apprenderai sugli alimenti tradizionali (sfruttamento della mano d’opera nei mercati del cioccolato e delle banane, malattie e inquinamento per la carne da allevamento intensivo, assenza di nutrienti in prodotti industriali), ci sarà sempre un’alternativa migliore sia per te che per il pianeta. Di questo sono assolutamente certa: l’umanità è meravigliosa quando mette in gioco il suo desiderio di migliorarsi e, in campo alimentare, sono felice di dire che negli ultimi anni c’è stata molta attenzione nel limitare l’impatto ambientale. Quindi non avere paura di sapere! Sapere è potere e il potere è cambiamento. Ad esempio, imparerai a conoscere i G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale), che si forniscono da piccole attività di cui controllano l’etica di lavoro, anche rispetto a carne e pesce; incontrerai un contadino o un vicino di casa che ha le galline e che potrà fornirti uova in abbondanza; scoprirai che i contadini biologici esistono e che le verdure non crescono tutti i giorni sempre uguali e che ogni anno la raccolta può variare. Capirai che non è necessario consumare spesso certi alimenti per essere in salute, anzi, spesso è l’opposto. Quando avrai imparato a pensare in un modo diverso, allora sarà facile eliminare dalla dieta quei prodotti che saprai essere nocivi, non solo per la tua salute, ma anche per l’ambiente, dall’equilibrio così fragile e realmente a rischio in questo momento storico. Infatti, se pensiamo che mangiamo almeno 3 volte al giorno per tutta la vita, quello che consumiamo non può che avere un impatto notevole sul pianeta. È un cambiamento che possiamo permetterci tutti e tutti i giorni, del quale vedremo la differenza subito, perché ha realmente un impatto provato scientificamente, calcolato soprattutto negli utlimi anni (studi usciti su Science, ad esempio, o quelli dell’UNESCO rispetto alla fauna e flora marina, che fornisce la maggior parte dell’ossigeno che respiriamo, e che non respireremo più se continuiamo con la pesca intensiva dei grandi marchi; gli studi pubblicati dalla FAO più recenti indicano che gli allevamenti intensivi sono causa di ben il 15% delle emissioni totali mondiali. Solo perché ci è stato detto negli anni 50 che la carne fa bene, non significa che sia ancora vero nel 2021).

Vorrei fare un’ultima considerazione: per il Covid19 ci siamo chiusi in casa per due mesi, nel primo lockdown. Abbiamo smesso di vedere persone care per più di un anno, abbiamo cercato di fare “la nostra parte” perché fossimo tutti al sicuro. Perché vedevamo soffrire altre persone. Perché sapevamo di fare parte di una collettività e di avere un obiettivo. Quindi, perché non fare lo stesso con le nostre azioni quotidiane? L’obiettivo c’è: la salvaguardia dell’ecosistema. Tu sei già parte di un collettivo, non sei solo. Tanti come te, da anni, stanno cambiando la propria vita, i propri consumi, la propria alimentazione, per far sì che tutti siano al sicuro. Perché vediamo soffrire non solo le persone, ma anche gli altri esseri viventi, vediamo disboscare aree verdi meravigliose, vediamo le acque cambiare colore e temperatura, vediamo rifiuti ad ogni passo, in ogni città e in ogni campagna. Se vuoi davvero cambiare le cose, cambia il tuo modo di consumare. Non te ne pentirai mai.”

Eleonora: “Le diete che cosiglio sono: diete consapevoli! Ogni volta che cucini o che compri qualcosa al supermercato devi pensare che le tue scelte influenzano i consumi in generale. Basterebbe che noi consumatori iniziassimo a comprare meno prodotti che impattano sull’ambiente per via dell’allevamento intensivo, la cui confezione non è riciclabile, tipo la carne preconfezionata, e via dicendo. I produttori si troveranno così costretti a lasciare spazio alle alternative sostenibili per il pianeta. Per fare questo non ci vuole molto, basta non fare la spesa riempendo il carrello di qualunque cosa solo per averla a casa. Quindi, io non dico che bisogna essere vegani al 100% perché è sia bello che giusto provare i piatti tipici di un posto e non pretendo di mangiare in Alaska un’insalata a chilometro zero. Quindi una dieta riflessiva, ponderata: se ti piace mangiare carne tutti i giorni continua a farlo, ma pensa e informati su tutto quello che c’è dietro. Piano piano la direzione diventerà quella di capire che tutti i giorni non fa bene al pianeta e nemmeno a te che hai questa abitudine. Magari potresti iniziare mangiandone meno, scegliendola in base a dove e come viene allevata, ricordando che quasi il 70% della soia che viene prodotta è destinata agli allevamenti”.

Per finire con un ultimo appunto, l’introduzione di una dieta consapevole è possibile sin dallo svezzamento: io stessa ho integrato lo svezzamento delle mie figlie con il testo Naturalmente Bimbo, un utile libro di ricette che sensibilizza all’argomento. Quando ho fatto questa scelta, l’ho fatta per un motivo importante: il latte vaccino aumenta la produzione di muco così, sin dal principio, sono passata dal latte materno al latte alternato a sostituti di natura vegetale. Si tratta, anche in questo caso, di una cosa non così strana, soprattutto se ci si ferma a pensare che l’essere umano è l’unico mammifero che assimila latte dopo lo svezzamento, e che questa nostra abitudine deriva da una consuetudine, legata ad una vita incerta, che oggi, per fortuna, non abbiamo.

E per chi lo svezzamento lo ha già affrontato, consiglio le ricette di Carlotta Perego raccolte nel libro Cucina Botanica.


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