L’abbazia di Fiastra e la sua riserva naturale

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Immersa nel verde della meravigliosa riserva naturale che la circonda, a metà strada tra i comuni di Tolentino e Urbisaglia nel maceratese, l’abbazia di Fiastra è un luogo che trasuda spiritualità e trasmette pace interiore anche al più laico dei suoi visitatori.

Centro cistercense più importante delle Marche, depositario di una storia quasi millenaria di cui i differenti stili architettonici degli edifici sono testimonianza, l’imponente complesso monastico permette ai turisti di scegliere, nell’arco di una sola giornata, tra attività naturalistiche – come percorsi per gli amanti della disciplina del Nordic Walking, percorsi a cavallo o camminate -, itinerari culturali – dal Museo del Vino, al Museo della civiltà contadina, a quello archeologico dell’abbazia – o semplice immersione nell’atmosfera mistica che vi si respira – non a caso spesso si organizzavano in loco sedute o stage di yoga.

Qualche cenno storico sull’abbazia di Fiastra

Fin dal 971 sembra sorgesse una piccola chiesa nel territorio, ma l’origine vera e propria del complesso viene fatta risalire al 1142 quando il duca di Spoleto, signore del luogo, donò il vasto territorio compreso tra il fiume Chienti e il Fiastra all’abate Bruno, guida di un gruppo di monaci per lo più francesi provenienti dall’abbazia di Chiaravalle di Milano.

I maliziosi sostengono che la ragione di questo regalo insperato fosse la natura paludosa e quindi poco sfruttabile del posto, ma, fedeli alla regola benedettina dell’Ora et labora, i religiosi non si fecero demoralizzare, si rimboccarono le tuniche e si misero all’opera. I lavori proseguirono per un bel mezzo secolo, con i monaci che caparbiamente sormontavano le varie difficoltà, per esempio la scarsità di materiale edilizio, ovviata col riciclo creativo delle rovine romane della vicina Urbis-Salvia. Tenaci ed efficaci anche sul piano agricolo, in breve tempo i monaci organizzarono il territorio, ormai bonificato, in una serie di grange (aziende agricole cistercensi) che diventarono floridi e potenti centri economici.

Nel XIII secolo l’abbazia di Fiastra giunse all’apice del suo successo, con 200 monaci al suo interno, il controllo su 33 chiese e monasteri circostanti che si estende a buona parte del territorio maceratese, e, se ancora non bastasse, la comparsa sui mercati locali in posizione predominante anche in attività marittime, commerciali, creditizie e culturali. La più significativa tra queste ultime? La nascita dello Scriptorium, ovvero la parte di monastero dedicata alla copiatura di manoscritti da parte degli amanuensi, che nella fattispecie portò alla redazione delle 3194 pergamene delle “Carte Fiastrensi”, un tesoro a livello storico andato perso e casualmente rinvenuto a fine ‘800 a Roma, dove è tuttora conservato nell’Archivio di Stato.

Come spesso accade, tanta ricchezza attirò malintenzionati, e durante XIV e XV si susseguirono i saccheggi, la mal gestione prima di un Borgia e poi di uno Sforza, il passaggio alla Compagnia di Gesù, il fallimento pure dei gesuiti e infine la cessione perpetua alla nobile famiglia Bandini. Nel 1918 muore, a soli 32 anni, l’ultimo erede maschio di detta famiglia, il duca Sigismondo Giustiniani-Bandini, e, per sua volontà, alla morte della sorella Sofia nel 1977 tutti i beni passano alla Fondazione Giustiniani-Bandini, che ancora li amministra.

Nel 1985, dopo che l’anno precedente la Fondazione insieme alla Regione Marche aveva istituito la Riserva naturale dell’Abbadia di Fiastra, riconosciuta anche dallo stato italiano e messa in seguito sotto l’egida del WWF, fanno ritorno i monaci, assenti dal luogo sacro ben dal 1613. Sono rimasti fino al 2018, dopo essere stati messi a dura prova dal terremoto del 2016, che fortunatamente ha recato danni lievi all’insieme degli edifici monastici ma che ha costretto per un certo tempo l’abbazia alla chiusura.

Cosa vedere all’abbazia di Fiastra

– La chiesa abbaziale, in stile romanico cistercense, quindi molto essenziale, in linea con la semplicità richiesta alla vita dei monaci.

– Il chiostro, fulcro della vita monastica, dalla caratteristica forma quadrata che richiama la “Gerusalemme liberata” descritta nel libro dell’Apocalisse.

– La Sala del Capitolo, divisa in sei campate con volte a crociera, dove si radunavano ogni mattina i monaci e dove avvenivano le riunioni che hanno dato origine all’espressione “non avere voce in capitolo” – poiché in queste assemblee i monaci conversi, cioè coloro che pur vivendo nel monastero non avevano preso i voti, potevano solo ascoltare e non esprimersi come i monaci coristi (entrati in convento giovani e lì istruiti o istruiti perché provenienti da famiglie agiate).

– Il refettorio dei conversi, uno dei due originariamente nell’abbazia (l’altro, riservato ai monaci coristi, è stato distrutto insieme a cucine e parte del complesso quando, a inizio XIX° sec. è stato costruito il magnifico palazzo Giustiniani Bandini). Particolarità del refettorio l’evidente commistione di stili: i sette sostegni centrali sono capitelli, fusti e basamenti di colonne romane, uno diverso dall’altro, frutto dello spoglio dei resti dell’antica Urbs Salvia.

– Il palazzo Giustiniani Bandini e il suo giardino inglese: l’edificio, in stile neoclassico, oggi sede della Fondazione, ha stanze riccamente arredate, decorazioni pittoriche, trompe-l’œil, alcuni reperti romani, insomma vale davvero la visita, pur se, da dopo il terremoto, limitata ad alcune zone della sontuosa dimora.

E ancora: le cantine, dove è allestito il Museo del vino, la sala delle oliere, dove anticamente si conservava – indovinate un po’? – l’olio e attualmente reperti archeologici, il cellarium, grande magazzino del monastero.

In tutto questo non va dimenticata la fantastica riserva naturale dell’abbazia di Fiastra, con i suoi vari sentieri, le piante secolari (a volte purtroppo soggette ad atti vandalici e brutalmente tagliate nottetempo con motosega, è accaduto anche questo), il Fosso dell’Inferno, imperdibile l’anno dell’anniversario dantesco, le aree pic-nic e quelle di sosta per camper, i percorsi ippici o quelli ciclistici (con affitto in loco di mountain bike). E la possibilità, se si ha fortuna, di incrociare un capriolo o una volpe di passaggio.

Un aneddoto: uno degli orgogli della selva della riserva è la sughera centenaria, al cospetto della quale pare che, durante la sua visita negli anni ’90, Carlo d’Inghilterra abbia chiesto di poter portarsi a casa un pezzo di corteccia come souvenir della sua maestosa bellezza.

Insomma, quanto di meglio per rilassarsi e ritrovare quella pace interiore ultimamente così spesso messa a serio repentaglio. Provare per credere.

 


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