Il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria: culla italiana della Magna Grecia

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Conosciuto anche con il nome di Museo nazionale della Magna Grecia, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria ospita la principale collezione italiana di reperti provenienti da quella che, storicamente, fu la zona definita Magna Grecia.

 

Costruito nei primi anni Trenta secondo il progetto di uno degli architetti più in voga dell’epoca, Marcello Piacentini (il quale lo pensò in chiave moderna prendendo ispirazione dalle sue visite ai principali musei europei), è tra i primi palazzi italiani ad essere destinato ad avere una esclusiva funzione museale. Nel tempo, il MArRC è diventato parte integrante della città e della vita dei suoi abitanti, grazie alla sua ubicazione centrale: da un lato, infatti, si affaccia su Piazza De Nava, dall’altro sul lungomare, offrendo una godibile vista sullo Stretto.

 

Ma come nasce il Museo Archeologico Nazionale? Inizialmente, sul territorio erano presenti due distinti istituti museali: il Museo Statale e il Museo Civico di Reggio Calabria (il quale, dal 1882, era custode dei numerosi reperti archeologici rinvenuti nei dintorni). Durante i primi anni trascorsi dalla fusione, la sede destinata ad ospitare le collezioni fu la Biblioteca Comunale, tuttavia, in seguito all’aumentare di queste ultime tra il 1887 e il 1889, si optò per “spostare” il nuovo museo in un edificio più grande, situato accanto alle terme romane – la cui scoperta, all’epoca, era appena avvenuta.

 

Purtroppo, a causa di un forte terremoto avvenuto nel 1908, il palazzo dell’allora Museo Civico subì ingenti danni, motivo per cui si decise di accelerare il processo che doveva dar vita al Museo Archeologico Nazionale. Il passaggio da ente privato ad ente pubblico avvenne definitivamente il 22 maggio 1948 quando, grazie ad una convenzione stipulata tra il Comune di Reggio Calabria e la Direzione Generale dell’Antichità dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione, il Governo poté acquisire le collezioni del Museo Civico, che venne così soppresso.

 

Una prima apertura parziale al pubblico avviene nel 1954, mentre per la vera e propria inaugurazione bisognerà aspettare altri cinque anni. Nel tempo, il Museo ha subito diverse trasformazioni; ne ricordiamo una in particolare, quella del 1981, quando venne allestita la sezione dedicata all’archeologia subacquea. Questa è particolarmente importante in quanto è stata eseguita per omaggiare con la giusta visibilità i celeberrimi Bronzi di Riace, riconosciuti a livello mondiale come una tra le espressioni più significative dell’arte greca.

 

 

Per poter affrontare importanti interventi di restauro, da novembre 2009 ad aprile 2016 il Museo è stato chiuso al pubblico. Ciò che di innovativo questi lavori hanno introdotto è sicuramente il nuovo cortile interno chiuso, sovrastato da un soffitto trasparente. Grazie a questo escamotage, l’atrio dell’edificio gode di una potente luminosità naturale.

 

Inoltre, c’è da dire che il MArRC gode anche di una vera e propria area archeologica interna: durante la costruzione del palazzo, infatti, è stata riportata alla luce una porzione di una grande, antica, necropoli di età ellenica.

 

Oggi, il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria è riconosciuto come uno tra gli istituti museali archeologici più prestigiosi d’Italia. Dato il periodo particolarmente critico dovuto all’emergenza sanitaria, per avere informazioni circa i giorni di apertura, le prenotazioni delle visite e i costi, vi invito a consultare il sito ufficiale del museo cliccando qui.

 

Focus: i Bronzi di Riace

 

Data la notorietà di cui queste due statue bronzee godono a livello mondiale, vorrei ora approfittare della vostra attenzione per approfondire un po’ la loro storia.

 

Come tutti possiamo notare, esse raffigurano due figure maschili messe a nudo, le quali, però, erano originariamente dotate di elmo, scudo e lancia. Massima espressione dell’arte greca classica, i due bronzi vengono “ripescati” dalle acque del Mar Ionio nel 1972, sorprendentemente in ottimo stato di conservazione. Sulla loro provenienza e datazione vi sono diverse ipotesi, tuttavia tra le più accreditate vi è quella che li fa risalire alla metà del V secolo a.C. Si pensa che le due statue siano state gettate in mare durante il loro trasporto marittimo per alleggerire l’imbarcazione durante una tempesta (ogni statua ha un peso di circa 160 kg e un’altezza che sfiora i due metri), oppure che la nave stessa sia affondata insieme al suo prezioso carico.

 

Quello che si può certamente affermare in seguito alle analisi effettuate sui due uomini bronzei dagli esperti, è che le due statue sono state modellizzate dalla stessa mano nella città di Argo, nel Peloponneso (come dimostrano le terre di fusione analizzate dagli studiosi dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma).

 

Gli uomini raffigurati sono un re guerriero e un oplita (soldato della fanteria nell’antica Grecia) e, dalle evidenze riscontrate, è plausibile che i due facessero parte di un complesso più vasto legato al mito dei Sette di Tebe, narrato da molti poeti e tragediografi dell’epoca e considerato alla stregua di mito nazionale della città di Argo.


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