Il Mosè di Michelangelo: l'opera alla quale manca solo l'anima

Il Mosè di Michelangelo: l’opera alla quale manca solo l’anima

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Perché non parli?”

È la celebre domanda che Michelangelo rivolse al suo Mosé percuotendolo la scultura con un martello. Gli sembrava che solo l’anima le mancasse, in quel vuoto sinuoso e marmoreo che traspare come ectoplasma. Un’opera di marmo.

Il Mosé, bisogna specificare che è parte di una struttura più grande. Non può essere considerata come intero, perché fa parte del Monumento funebre al Papa Giulio II situato nella Basilica di San Pietro in Vincoli, presso il centro di Roma.

Michelangelo scelse non a caso San Pietro in Vincoli, e coscientemente scartò San Pietro e Santa Maria dei Popoli. Perché quella Basilica possedeva una finestra (ora murata) che garantiva la luce specifica che serviva a Michelangelo per realizzare la sua opera. A partire dalle superfici del marmo, è riuscito a creare una variegata possibilità di rifrazioni.

L’opera di Michelangelo

L’opera fu commissionata dal Papa medesimo nel 1511, e fu terminata solo nel 1545. Un particolare importante riguarda proprio un cambiamento che l’artista fece all’ultimo. Infatti riuscì a spostare la testa da destra a sinistra, rivolgendola verso la finestra. Fu un restauro miracoloso. Forse la più grande dimostrazione del genio di Michelangelo come scultore.

Mosè, barbuto, con una corona (che alcuni dicono Michelangelo adottò per un errore esegetico), con le tavole conservate sulla mano destra, con gesto di protezione, come difensivo, e la barba attorcigliata, quella che suscitò l’interesse di Freud.

In effetti se parliamo del Mosé di Michelangelo non possiamo non menzionare il saggio che gli dedico il padre della psicanalisi nel 1914.  Il dettaglio della barba attorcigliata alla mano sinistra è un segno che Freud indica come gesto di controllo della rabbia. Dove pare che il conflitto che lui vive contro i suoi nemici, sia razionalizzato, nevrotizzato. Freud identifica il Mosé di Michelangelo come esempio di repressione, volta però a proteggere, salvare. Forse capitalizzare, anche. Perché le tavole vengono protette. Il controllo della rabbia, infatti, diventa strumento di protezione, salvaguardia, cura.

Mosè è il salvatore del popolo ebraico dagli egiziani. Colui che apre le acque, che parla con Dio. Vedo infatti in quel Mosé, la trappola della grandezza. Un personaggio saturo di responsabilità. Chi è in contatto con Dio, non è forse ammalato di eccessiva responsabilità? Chi conosce la verità e le leggi, non diventa prigioniero?

Questo Michelangelo l’ha fatto emergere fortemente, pur a livello inconscio. In quelle rifrazioni di rabbia. Talvolta nauseanti, isolanti, come chi per vincere la rabbia si chiude nel proprio mondo e si culla attorcigliandosi capelli, o barba, appunto.

Ma Michelangelo chissà se ci pensava a tutte queste cose. In fondo la psicoanalisi è erede di millenarie saggezze popolari, che sicuramente al grande Buonarroti saranno ronzate intorno all’orecchio. Certamente possiamo dire che quella domanda con cui abbiamo iniziato, ha una risposta. È l’anima che cercava. Ma cercare una risposta dall’anima, comporta la solitudine, dunque anche la rabbia… dunque attorcigliamenti di barba. Perché non parli? In fondo quale domanda più psicoanalitica potremmo immaginare?


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